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Storie di migrazioni

In un tempo in cui l’immigrazione è un tema caldo e di grande attualità, gli alunni della classe ID della scuola secondaria di primo grado “Patrizi” ricordano le storie di migrazione dei propri familiari, per conservarne il ricordo, per conoscere il passato dell’Italia e per capire meglio, oggi, il fenomeno dell’immigrazione.


Questa storia, risale a molti anni fa, poco prima della II Guerra Mondiale.

Tutto iniziò quando, Ofelia, ovvero la mia bisnonna materna, nata in Sicilia, emigrò con la sua famiglia a Tunisi perché in Italia meridionale poche erano le possibilità di lavoro.

Nel mentre, in Abruzzo, il mio bisnonno Antonio, veniva arruolato nel Regio Esercito come carrista.

La sua destinazione fu l'Africa Italiana, in quel periodo chiamata Tripolitania, l'odierna Libia.

Dopo pochi mesi che il mio bisnonno giunse a destinazione, gli Inglesi sconfinarono in Tripolitania ed iniziò una sanguinosa battaglia. Gli Inglesi ebbero la meglio e catturarono il mio bisnonno, con tutti i sopravvissuti alla battaglia.

Egli, tuttavia, fu molto fortunato, perché riuscì a fuggire dal carcere con un suo commilitone, sbarcando dopo tanto peregrinare in Tunisia, che a quel tempo era una colonia francese.

La famiglia della mia bisnonna nascose il giovane soldato Antonio ed il suo amico in casa, perché erano di origini Italiane.

Antonio si innamorò di Ofelia e il suo più caro amico, compagno di guerra e di vita, si innamorò della sorella della mia bisnonna.

Il primo figlio di Antonio e Ofelia, di nome Gabriele, nacque a Tunisi, poiché i miei bisnonni, prima di ritornare in Italia, vissero lì da sposati.

Antonio trovò a Tunisi addirittura un lavoro, che gli permise di mantenere se stesso e la sua famiglia.

L' amore per l'Italia spinse poi i giovani sposi a ritornare in patria dopo alcuni anni, quando la guerra era diventata solo un brutto ricordo.

Nell'amata Italia nacque poi mio nonno che ancora oggi mi racconta cose sentite dalla mamma, la quale ha vissuto per anni in una terra lontana, con tradizioni e leggi molto diverse dalle nostre.

(LEONARDO)


Mio zio, Federico Bartolini, nasce il 14 febbraio del 1930 a Civitanova Marche, da Bartolini Carlo e Paolucci Elvira. Lavora da Cecchetti (fabbrica che fa i vagoni dei treni); negli anni ‘50 la fabbrica chiude a causa della crisi. Emigra per cercar lavoro in Australia. Il tragitto con la nave dura un mese. Federico parte da Genova e sbarca a Pert. Arrivato trova lavoro come saldatore elettrico. Dopo un po’ di anni si sposta a Canberra (nel sud dell’Australia), Sydney e Melbourne. In questi anni in Australia fa molte esperienze: un Natale a Sydney nessuno voleva salire su un grattacielo per allestire un albero di Natale e Federico si offre insieme ad un indigeno australiano. Un’altra volta mentre stava facendo nell’oceano un bagno, in profondità, vede uno squalo che si trova sopra di lui. Federico non si fa prendere dalla paura e aspetta immobile sott’acqua finché lo squalo non se ne va e lui esce dall’ acqua sano e salvo. Federico rimane in Australia per 10 anni circa e in questo periodo ritorna in Italia solo una volta, ma tiene i contatti con la famiglia inviando lettere e mandando soldi attraverso la banca. Ritornato in Italia si sposa, ma purtroppo si ammala presto, a 52 anni.

(IRENE)

A Panagyurishte in Bulgaria, dall’unione di Elena e Stoiano nacquero due bambini. Il primogenito si chiama Petco e il secondo Ivan. Petco dedicò molta attenzione e tempo alla scuola avendo sempre voti molto alti, invece Ivan non se ne interessava molto, fortunatamente non fu mai bocciato, ma passava sempre con il minimo dei voti. Nonostante ciò furono educati nel miglior modo possibile: molto rigidamente. Ora intendo parlare di Ivan nato nel 1976: mio padre. Finite le scuole superiori egli partecipò a un corso di agricoltura biologica che prevedeva anche l’apprendimento della lingua italiana e il superamento di un esame orale. Infine solo quattordici potevano trasferirsi in Italia. Inizialmente fu bocciato perché c’erano alcuni alunni raccomandati, ma poi per motivi economici una ragazza dovette cedere il posto a Ivan. A venticinque anni partì insieme agli altri tredici e ad accoglierli fu una signora di nome Maria Grazia: molto educata, precisa, ma anche severa. Le abitudini erano diverse, ma lei cercò di accontentarli sempre e di aiutarli anche nella lingua. Egli trovò lavoro e invece di tre mesi ci rimase tre anni e, proprio nel terzo, incontrò Alissia, la mia futura madre: lei gli offrì un nuovo lavoro e un nuovo alloggio. Dopo un anno si sposarono, dopo un altro anno nacqui io, dopo altri due mio fratello e dopo due le mie sorelle. Così ancora oggi Ivan vive in Italia e ogni anno va sempre a trovare la sua famiglia.

(ELENA)

Questo racconto parla dell’emigrazione del marito di mia zia Maria che andò in America per imparare un mestiere e fare fortuna.

Mio zio Pierino, nato a Recanati nel lontano 1922, trascorsa la sua giovinezza nel paese natale, quando ebbe raggiunto l’età di 26 anni decise di partire per l’Argentina e il Cile per imparare l’arte della lavorazione dell’avorio su espressa richiesta di suo fratello argentino, il quale già praticava da tempo quest’ arte.

Quando arrivò il giorno della partenza, s’imbarcò su una nave stracolma di emigranti come lui che andavano alla ricerca di lavoro per poter inviare soldi ai familiari cari rimasti in Italia.

Dopo giorni e giorni di tragitto, finalmente la nave attraccò nel porto argentino nella famosa capitale Buenos Aires.

Alla capitaneria di Porto, dove lo aspettava suo fratello, mostrò i documenti necessari per passare la frontiera.

Dopo un lungo viaggio in auto arrivarono a casa di suo fratello, il quale lo ospitò per molto tempo.

Dal 1948, anno in cui arrivò in Argentina senza un soldo, ma con una voglia di imparare il mestiere di suo fratello, passarono ben 14 anni.

In questo periodo imparò perfettamente il mestiere della lavorazione dell’avorio, ossia imparò a realizzare statue, oggetti e monili preziosi con semplici utensili artigianali da lui costruiti manualmente.

Appena ebbe la consapevolezza di essere in grado di lavorare autonomamente decise di ritornare in Italia nel 1961.

Arrivato in Italia, iniziò subito la sua attività artigianale, da considerarsi molta rara a quei tempi. Questo mestiere si rivelò subito molto redditizio.

Durante l’anno 1961 conobbe mia zia Maria e dopo sei anni si sposarono.

Ancora oggi mia zia ricorda molto bene questa storia, poiché tale mi è stata raccontata da lei stessa, inoltre in ricordo di suo marito possiede alcune statue e oggetti in avorio a lei molto care.

(NOEMI)


Nella mia famiglia, un particolare episodio di migrazione è quello di un mio bisnonno Giovanni che, dal 1950 al 1955, si trasferì in Francia per lavorare come muratore alle dipendenze di una ditta edile italiana che fu incaricata di ricostruire alcuni edifici distrutti dalla Seconda Guerra Mondiale terminata nel 1945.

Purtroppo non ha visto crescere le sue due figlie nella loro prima infanzia, in quanto nate una nel 1954 e l’altra nel 1955. Grazie a questo lavoro, spediva in Italia gran parte del suo stipendio per mantenere sua moglie e le due figlie. Sfortunatamente non abbiamo molte notizie su questa migrazione, in quanto avvenuta molti anni fa e, siccome le due bambine all’epoca erano molto piccole, ora non ricordano molto di quanto avvenuto.

(ANDREA)


Il nonno materno di mia nonna, di nome Sante Palazzo, di lavoro faceva il fruttivendolo e per fare i mercati utilizzava come mezzo di trasporto un carretto trainato dal suo cavallo.

Era all’incirca il 1.900 e, essendo una famiglia molto numerosa con otto figli, i due genitori e i due suoceri, serviva uno stipendio fisso e sicuro, cosa che il suo lavoro non assicurava.

Così decise di andare in Argentina, perché aveva già dei suoi parenti che vivevano là e l’avrebbero potuto aiutare.

Quindi partì da solo lasciando la moglie e i figli a casa, che già dai 9/10 anni cominciavano a lavorare per aiutare la famiglia ad andare avanti.

Dopo un paio d’anni circa, passati a fare il manovale, ritornò a casa con un gruzzoletto che gli permise di costruire una piccola casa. Ma i soldi non bastarono per finire la costruzione, allora Sante dovette tornare in Argentina per un altro periodo lavorativo.

Dopo qualche anno egli ritornò definitivamente in Italia e riprese il suo vecchio lavoro.

I suoi otto figli erano ormai cresciuti e quasi tutti avevano un lavoro, che portavano avanti per aiutarsi a vicenda. La maggior parte lavorava nella fabbrica di fisarmoniche di Castelfidardo, mentre il resto lavorava nei campi o al servizio di qualche signore.

(MATILDE)

Andrea Capodaglio, Elena Liskov, Noemi Luzi, Matilde Sturba, Leonardo Verducci

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