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La banalità del male



Una foto di Anna Frank è stata usata da dei tifosi per insultare un’altra squadra: è quello che è accaduto il 22 ottobre scorso allo stadio Olimpico di Roma. Anna Frank è stata una ragazzina che ha dovuto soffrire per quello che era e non per ciò che aveva commesso e dei tifosi della Lazio hanno applicato un adesivo della maglia della Roma su una sua foto, cercando di ingiuriare gli avversari.


Essi sono degli ignoranti che non sanno, di sicuro, quello che quella ragazzina ha sofferto, venendo trasportata in un luogo orribile, dopo che per due anni si è dovuta rifugiare, nascondere in un alloggio segreto dove ha scritto il suo diario, che è stato per lei un’ amica con cui confidarsi e per noi una testimonianza su come un popolo sia stato perseguitato e sterminato per motivi razziali.

Gli ultras volevano insultare i romanisti dando loro “dell’Ebreo”, volevano cioè dire che essi erano inferiori a loro, sottintendendo che gli ebrei erano inferiori e che quello che ha fatto Hitler è stato giusto (anche se così non è). Hitler è colui che si è prefisso di sterminare un popolo che si trova nel proprio territorio; di quel popolo una delle persone che ricordiamo è Anne Frank, nata il 12 giugno 1929 a Frankfurt am Main in Germania. Il padre era un banchiere tedesco, ma dopo le leggi razziali emanate da Hitler, la famiglia Frank si stabilì in Olanda e il padre vi fondò una ditta. Nel 1940 i tedeschi occuparono l’Olanda, vi estesero le leggi razziali che impedivano agli ebrei di svolgere la maggior parte delle cose della loro vita, ad esempio non poter andare in bicicletta, non poter guidare, essi non potevano uscire dopo e prima di certi orari stabiliti, non si potevano sposare con i tedeschi, ecc… Nell’estate del 1942 la famiglia Frank si rifugiò in un alloggio segreto con un’altra famiglia.

Anne stava crescendo e i vestiti non le stavano più, le scarpe neanche; aveva solamente quattordici anni e stava attraversando la fase dell’ adolescenza rinchiusa in quel posto che si trovava sopra l’ufficio del padre e l’unica amica che aveva era Kitty, il suo diario a cui affidava il racconto delle sue giornate, i sentimenti, tutte le piccole cose che si possono confidare ad una amica.


Erano passati due anni da quando i Frank si erano rifugiati nell’alloggio segreto e nel 1944 furono scoperti e mandati a Bergen Belsen, uno de campi di sterminio dove vennero portati milioni di ebrei, che erano innocenti, ma che erano lì solamente perché erano ebrei. In quel campo si moriva, si moriva per arbitrio di qualcuno o perché si era malati o perché si era bambini; gli uomini erano costretti ai lavori forzati, divenivano schiavi senza dignità. Non si era più un uomo con dei principi e diritti, ma solo “oggetti” che se non funzionavano si buttavano o se funzionavano si usavano fino a buttarli.

Negli anni in cui si è dovuta nascondere nell’alloggio segreto, Anne Frank aveva come amica solo Kitty, il suo diario, a cui scriveva delle lettere per dirle come si sentiva, tutti i sentimenti che provava, le frustrazioni che una ragazzina di quattordici anni poteva vivere stando rinchiusa per molto tempo in quel rifugio; raccontava anche come passava il tempo, come il padre diventò il suo insegnante. Il suo amico Diario fu pubblicato per la prima volta ad Amsterdam, su iniziativa del padre, nel 1947: per noi quel diario è una testimonianza di come una ragazzina possa soffrire, di come un intero popolo può essere ridotto in schiavitù, di come una cultura può essere distrutta. Leggere il Diario e conoscere la storia di Anna Frank può essere fonte di sapere per persone che non sanno cosa sia accaduto, fonte di riflessione per chi è stato così incosciente da confezionare adesivi antisemiti, spingendolo a pensare se quei gesti sono giusti oppure no; il Diario può essere un simbolo, un punto di riferimento per ricordare tutte le persone che, senza lasciare traccia di sé, hanno sofferto e perso la vita in quella catastrofe.


Il Diario e la storia di Anna Frank e della sua epoca sono stati letti e studiati nell’istituto “M.L Patrizi”, che ha aderito alla staffetta di lettura organizzata dal Comune di Recanati per la Giornata della Memoria. Il 27 gennaio mattina, prima di entrare a scuola, gli alunni di terza si sono dati appuntamento nel “Giardino delle parole interrotte” per ricevere Adrian Bravi e le sue parole d’inizio della staffetta.


Intanto nell’atrio della scuola era stato costruito un “rifugio” come quello di Anna Frank, in cui tutte le classi terze si sono introdotte e hanno letto il Diario stando seduti a terra, tutti vicini per rivivere come hanno vissuto due famiglie per due anni. Sulle pareti interne gli alunni hanno scritto frasi, pensieri, invece su quelle esterne hanno firmato con il loro nome intorno alla foto di Anna come se dicessero tutti “ IO SONO ANNA FRANK”. Nella scuola è stato lasciato il rifugio anche nei giorni successivi per chi non l’avesse visto e ancora vi si può entrare.


Ci si domanda, alla luce di tutto quello detto fin qui, come è possibile ridurre a uno “sfottò” il gesto degli ultras laziali? Gli irriducibili si sono difesi dicendo che quel gesto non era così grave e che i media e chi li accusa dovrebbero pensare a cose più importanti, insistendo anche che si fanno pagine intere di giornale su questo episodio e non per i terremotati o gli anziani in difficoltà. Queste affermazioni equivalgono a ridurre il male a una banalità, cioè lasciar correre tutto, minimizzando anche le cose gravi. Attaccare adesivi di una foto di una bambina, che come altre milioni di persone ha sofferto, facendo diventare quella foto un insulto è una cosa molto brutta e da ignoranti, che hanno anche la faccia tosta di dichiarare che è stato solo uno scherzo, niente di grave, solo una bravata, che, secondo loro, non era poi così importante. Non si dovrebbe scherzare su cose così, perché come quella bambina potevamo nascere anche noi in quel tempo e vivere tutto quello che lei ha vissuto. Basta nascere in un’altra parte del mondo o in un’altra epoca ed ecco che ci si trova a vivere gli orrori di qualcun altro.

Manoa Amore

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